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STEVE JOBS Film con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggioFilm con lo stesso punteggio
  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 febbraio 2016
 
di Danny Boyle, con Michael Fassbender, Kate Winslet, Seth Rogen, Jeff Daniels, Adam Shapiro (Stati Uniti, 2015)
 

Più che a Danny Boyle (TRAINSPOTTING, il primo film di un regista rimasto di belle speranze) Steve Jobs appartiene a Aaron Sorkin, lo sceneggiatore di Bennett Miller in MONEYBALL, di David Fincher in THE SOCIAL NETWORK, di Mike Nichols in LA GUERRA DI CHARLIE. Tutte pellicole più che riuscite, nelle quali la sceneggiatura (dal taglio drammaturgico a quello dei dialoghi, dalla qualità della parola, di tutto quanto già originato sulla carta) disputava il segno lasciato dalle immagini create dai registi. In effetti, dopo un lungometraggio e un documentario non particolarmente significativi, è questo il primo tentativo cinematografico di ridarci la figura del creatore di Apple. Aaron Sorkin si è ispirato alla biografia che lo stesso Steve Jobs aveva richiesto al co-fondatore di Apple, Walter Isaacson. Ma non per questo ne è nato un biopic, una biografia tradizionale che ritracci una vita. Piuttosto, per usare i termini di colui che si sta rivelando come uno dei grandi sceneggiatori in circolazione, la mia interpretazione di un individuo complesso; e delle sue relazioni con i suoi prossimi. L'interesse del film nasce allora dalla sua costruzione anomala: non una cronistoria, ma tre atti, tre ambienti filmati in tre stili diversi, per descrivere tre momenti non consecutivi. Sedici anni della vita di Jobs in tre scene di 40 minuti, riassunti quasi in spasmodici tempi reali (più qualche flashback): ma tre nascite emblematiche, e per certi versi traumatiche, quella del Macintosh nel 1984, di NeXTcube nell'88 e dell'iMac nel 1998. Immerso com'è nei suoni astratti che ricordiamo emessi dai primi computer, STEVE JOBS perde ulteriori contatti con una logica biografica, per dedicarsi ad una introspezione intima, progressivamente quasi immateriale: con un personaggio nel quale il genio intuitivo coabitava (paradossalmente) con le asperità della comunicazione. Un direttore d'orchestra, come Jobs amava lui stesso definirsi, cui spettava il compito di far intuire nuove, rivoluzionarie interpretazioni ai suoi musicisti; e non tanto rivaleggiare con le loro conoscenze. Il film si regge allora sulla tradizionale eccellenza della scuola attoriale americana, sulle spalle di uno straordinario Michael Fassbender (Steve Jobs), su Kate Winslet (l'eroica assistente - parafulmine Joanna Hoffman), sul coro edipico della figlia non riconosciuta Lisa, la ex-moglie, ma pure gli storici collaboratori, brillantemente interpretati da Jeff Daniels, Seth Rogen o Michael Stuhlberg. Come nel caso di un film sulle elucubrazioni dell'alta finanza come que LA GRANDE SCOMMESSA del quale abbiamo detto di recente, non era di certo facile tenere viva l'attenzione dello spettatore su argomenti come driver e slot, chip e desktop, floppy disk e megahertz. Ma a differenza con il film del pur non trascendentale Adam McKay l'apporto della regia all'intelligenza della sceneggiatura relativizza in parte il successo dell'operazione. La regia di Boyle non ha il coraggio (o forse la capacità) di assecondare l'intimismo stringato creato da Sorkin; arrischiando progressivamente i sentimentalismi di una psicologia della famiglia che contraddice quanto d'innovativo il film stava proponendo.


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